Buona fine e…buon principio

         “Amo Napoli perché mi ricorda New York… come New York è sporca e cade a pezzi, e nonostante tutto la gente è felice…”.

         È arrivato il freddo che si sente nelle ossa. È finito un altro anno. È arrivato il gelo, ma ci sarà sempre il sole che riscalderà le nostre giornate e i nostri cuori freddi e aridi. E indosseremo i nostri Fay, belli ed amati Fay, che uniranno il Vomero a Forcella e ci faranno sentire tutti uguali, tutti figli del consumismo e dell’apparire, in una Napoli globalizzata e violenta.

         Rossi, neri, bianco panna o bianco sporco, ma tutti uguali. Originali o falsi, se comprati da Barbaro in galleria o da Peppino alla Duchesca poco importa, il Fay ti dà tono e ti fa accettare. Poco importa se costa cinquecento euro, un milione delle vecchie lire. Il Fay ci vuole, e lo compreremo tutti per poi lasciarlo nell’armadio, cosi come è stato per il Belstaff lo scorso inverno.

         Il Natale è già passato, e col Natale passa anche la festa più bella, quella che ci rende tutti buoni almeno per qualche ora. Una ricorrenza che ci avvicina alle grandi metropoli: Napoli come New York, via Roma come la Quinta Strada, Forcella come Portobello Road. Le strade principali, quelle secondarie, le viuzze, le stradine che sanno di sale, tutte traboccano di gente, che fluisce da ogni pertugio. Napoli sembra Pechino: quei vicoli umidi e stretti brulicano di persone, come tante formiche alla ricerca del formicaio.

          Anche i regali li abbiamo scartati; belli, brutti, utili, inutili, riciclati, ma si devono fare! La prima delle grandi abbuffate è stata fatta. Al Sud le feste di Natale si trasformano in un tour de force culinario; tutti, indipendentemente dall’estrazione sociale e dalle possibilità economiche, prendono parte a questa tradizione, che si ripete puntuale dalla vigilia di Natale fino al Capodanno. Le tavole si imbandiscono come non mai: i broccoli di Natale, l’insalata di rinforzo (ancora sentiamo in gola quella dell’anno prima, ma si deve preparare, si deve mangiare. È tradizione!), le noccioline, i datteri, i fichi al cioccolato (che disgustano, ma che sono indispensabili), lo spaghetto con le vongole comprate a 15 euro al chilo, che ancora rimpiangiamo di aver comprato ma che, puntualmente, ricompreremo pure a Capodanno, i gamberoni che nessuno sa sbucciare, mangiati con le mani, inzivando la maglia, la camicia buona e la preziosa tovaglia ricamata che si mette solo nelle feste comandate. L’odore di frittura ce l’abbiamo ancora addosso. Si continua senza sosta in queste cene infinite, perché c’è ancora la zeppola, il baccalà, le frittelle di pesce, e si annaffia il tutto con il Lambiccato, il Greco di Tufo, l’Aglianico, per poi arrivare, esausti, ai dolci: struffoli, mustaccioli, panettone e Pandoro, tanto per sentirsi un po’ come quelli del Nord. Mentre si mangia inevitabilmente il senso di colpa ci assale, e sarà forse il fegato che reclama giustizia. La mente corre alla dieta che dovremo fare, con l’anno nuovo, per avere il ‘fisicaccio’ da mostrare a Scalea, a San Nicola Arcella, a Santa Maria del Cedro.

         Estate, amata stagione, che fa volare la mente verso le spiagge esotiche, che ci fa sognare Sharm El Sheik e Formentera. Torneremo alla realtà quando il mare caldo e sporco di Ischitella, Baia Domizia e Rovigliano, bagnerà i nostri corpi abbronzati, neri come dei tizzoni.

         Per fortuna oggi fa freddo, un freddo che taglia la nostra faccia già tagliata dall’odio e dalla cazzimma, che qui o ce l’hai o te la devi far venire. Per fortuna oggi c’è il freddo, che ci fa tornare coi piedi per terra.

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