Silvia rimembri ancor … Napoli rimembri Silvia?

Silvia, rimembri ancora quel tempo della tua vita mortale, quando beltà splendea …
Ma che ti arricurdà Silvia?! Che ti arricurdà … Risposa, riposa in pace. Ricordo io quel giorno. Mi è rimasto impresso nella mente, come non ricordarlo, è indelebile. È una macchia d’olio su una camicia di raso, puoi portarlo anche in lavanderia nun se leve!
Era la mattina dell’undici giugno del 1997. La scuola era quasi finita, mancavano pochi giorni, poi tutti al mare a mostrar le chiappe chiare. Doveva essere una bella estate, non tanto per te, ma per la tua figlioletta. La stringevi, la tenevi per mano. Tornavate dalla scuola tu e lei: piccolo fiore. Giornata soleggiata, camminata tranquilla, un giorno come tanti, una giornata piena. Il Vomero è bello in primavera. Primavera mo’, è quasi estate e la collina che domina Napoli è fresca. Si vede Procida in lontananza, non c’è foschia, il mare è una tavola di ponte. Si sente l’odore dei pini da Castel Sant’Elmo, dalla Floridiana il fruscio delle foglie delle querce secolari è musica per le orecchie. Lo iodio sale dal mare e inebria le anime e i pensieri dei cittadini vomeresi. Quell’aria leggera entra nei polmoni e li riempie. Nelle strade anche le auto sono più educate in una città caotica e bella.
Mano nella mano, mamma e figlio salgono le scale che portano a casa. Napoli è una città piena di scale, è una città in salita, in ogni senso. Sembrano essere state costruite per abituare i napoletani a salire, in una città inerpicata, in una città dove per sopravvivere dei scalare, ogni giorno un’avventura! Silvia e il piccolo figlioletto salgano quella scalinatella longa longa, salgono per Salita Arenella. Una passeggiata che sa di storia, della storia di una città che arranca, che fatica, una città ricca d’arte e di tristezza, che diventa gioia ad ogni raggio di sole che entra in quei vicoli freschi e che si inerpicano in un paesaggio che sa di presepe. Il tufo lo vedi con gli occhi e lo senti nei polmoni. Il tufo rende fresco, il tufo ti riempie di polvere, il tufo ha un odore di antico.
Silvia, rimembri ancora quel tempo della tua vita mortale, quando beltà splendea negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, e tu, lieta e pensosa, il limitare di gioventù salivi?
D’improvviso dei colpi, dei colpi di pistola, sembra capodanno. Quei colpi non segnano l’arrivo del nuovo anno. Quei colpi segnano la normalità, lo scandire dei giorni, delle ore in una città in guerra. La gente scappa, un fuia fuia generale. C’è gente che spara, un regolamento di conti. Normale da queste parti. Quei colpi, rompono l’armonia vomerese. Tutto d’un tratto non si sente più lo iodio, l’odore dei pini è scomparso, le foglie non si muovono più: solo odore di sangue fresco. La gente scappa, ha paura, questo è un paradiso abitato da diavoli, aveva ragione Croce!
Scappano tutti, una bagarre generale. Tutti tranne due. Riccardo Villa è a terra, è uno studente, si lamenta è rimasto ferito. Si accascia anche Lei, fa in tempo a guardare negli occhi gli uomini con le pistole in mano. Uomini? ‘A scumme ‘e l’uommene! Teneva per mano il figlioletto quando morì Silvia. L’ennesima vittima innocente Silvia Ruotolo. Vittima di una guerra assurda. Una guerra senza fine, senza scrupoli, dove le strade sono bagnate dal sangue, dal sangue innocente. Dove non ci si sfida a singolar tenzone ma c’è la logica del addò coglie coglie! Questa volta ha cogliuto te Silvia, Silvia Ruotolo. Chissà cosa avrà pensato quella povera creatura che stringeva la mano della mamma. Nessuno lo saprà mai. Quel giorno resterà indelebile nella mente di quell’anima innocente e la segnerà per la vita.
Nel 1997 l’Italia tremò per il terremoto in Umbria e nelle Marche. Napoli non tremò, ma fu ammazzata Silvia Ruotolo.
Il 12 febbraio del 2011, dopo 14 lunghi anni la quattordicesima sezione della Corte d’Assise di Napoli, condannano all’ergastolo i boss Giovanni Alfano, Vincenzo Cacace e Mario Carbone, a ventisei anni il pentito di camorra Rosario Privato, a venti anni Raffaele Rascio. L’11 giugno del 1997 in pieno centro urbano si è svolto uno scontro a fuoco tra il clan camorristico degli Alfano e dei Caiazzo.
Dal balcone di casa, due passi dal luogo dell’agguato, li guardava l’altra figlia Alessandra, di dieci anni. E piangeva, vedendo morire la sua mamma sotto il fuoco dei killer. Privato era uno di quei killer. Fu arrestato al mare, in Calabria, un mese dopo il delitto, Privato si pentì subito. “Ho deciso di cambiare vita quando ho visto in televisione il marito della vittima, ne sono rimasto sconvolto”. Non fu la paura del carcere, ma l’umanità del marito di Silvia Ruotolo, Lorenzo Clemente, a fargli cambiare vita. Ancora: avrebbe voluto scrivere una lettera ai familiari di Silvia, ma non è mai riuscito a farlo, e vorrebbe il loro perdono.
Oggi all’Arenella c’è un giardino, un parco che porta il suo nome: Parco Silvia Ruotolo.
Silvia rimembri ancor … Napoli rimembri Silvia?

 

Tonino Scala

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