Maledetta quarantena

di Tonino Scala

Mi chiamo Diego e vivo al norde. No, non per scelta, per necessità: tutte quante avimma campà!

Lavoro in una scuola. No, non insegno. Sono un applicato di segreteria. Milleetrecentoeuroalmese tuttoattaccato, anche se non si attaccano alle mani, vanno via subito. La vita qui è più cara, per fortuna mi mandano i pacchi.

Che sono i pacchi? Allora non sapete niente? Ogni meridionale che va via per lavoro, per studio, continua a mantenere il cordone ombelicale con la sua terra attraverso le provviste, le conserve fatte in casa che i parenti mandano con i pacchi perché il cibo al norde… nun sia mai!

Ma non è di questo che voglio parlare. Non è questo il problema, o meglio il problema è anche questo visto che nemmeno i pacchi in questi giorni di quarantena arrivano. Per fortuna però la dispensa è ben fornita. In casa può mancare la tachipirina, mai un buccacciello di mulignate sott’olio, una butteglia di birra piena di pomodoro o un pacco di pasta.

Come dicevo il problema è altro. Ma veniamo con la presente adirvi. Tuttoattaccato ovvio!

La sera in cui il coronavirus è arrivato in Italia ero con Noemi, la cassiera di un supermercato.

Mi accorsi di lei tempo prima di questa epidemia che ha sconvolto la mia esistenza, mentre pagavo un flacone di Coccolino capi delicati, una busta di latte e un pacco di Corn flakes.

Qui al norde danno anche i centesimi come resto, è la civiltà che lo impone.

Ero già andato via, quando mi rincorse e disse:

– Hai dimenticato il resto.

Masticava una Vigorsol alla liquirizia, aveva due occhioni neri che facevano pendant con i capelli lisci e un camice azzurro stretto che… mostrava il suo bel viso!

Da quel giorno Coccolino tutti i giorni, latte come se fosse acqua e Corn flakes a gogo, fino a quando i nostri sguardi iniziarono a fare amicizia.

Sguardi che parlavano senza dire niente, sguardi che si avvinghiavano, sguardi che prendevano la tangenziale, i vicoli stretti, gli anfratti dei portoni, sguardi dentro gli sguardi che si “sguardavano” malamente. Comme so’ belle ‘ sguarde che si dicono tante cose. Insomma i nostri sguardi erano entrati in casa. Per chi non conosce questa espressione, per i ragazzi dico, entrare in casa è più di un fidanzamento, è conoscere le famiglie, mangiare il ragù della gnora, sentire la domenica i racconti del nonno, bere un bicchiere di caprettone paesano, andare a buttare la munnezza mai per comando e… decidemmo che era giunto il tempo di uscire.

Era la nostra prima sera. I nostri cuori e le nostre mutande si trovavano nella stessa situazione: sono le erezioni dell’anima!

Dopo un panino, una birra e un po’ di musica dal vivo ci fermammo sotto casa sua per… ja, avete capito.

Era la prima sera e si sa alla prima non si fa mai.

Non so chi abbia inventato questa regola balzana, ma è così dai tempi delle sorelle Kessler, da quando Ernesto Calindri parlava di logorio della vita moderna.

– Dai posso salire?

– No, stasera no!

Avrei voluto dirle tante cose, che era la prima ma c’eravamo visti tante volte, che avevo gli scaffali a casa pieni di Coccolino, che il latte nel frigo si era perso, che i nostri sguardi erano usciti tante volte, erano entrati in casa, ma… il rispetto delle regole, delle consuetudini e… ecosísia!

Mi svegliai il giorno dopo che ero in quarantena per colpa di questo maledetto virus che, se è vero che stava facendo un danno alla salute, all’economia, pure a me non stava facendo tanto bene.

Avevo voglia di lei. Ho ancora voglia di lei ma…

La mia testa andava per i fatti suoi e non era l’unica…

– Passiamo la quarantena insieme?

– Ma sei matto, come fai a giocare proprio in questo momento difficile. Sono sconvolta!

Avevo sbagliato approccio.

Ora sono a casa.

Son tre giorni che son qui.

Son tre giorni, solo, sul divano.

Mi sono innamorato.

Di Noemi? No, della bionda che vedo e rivedo su youporn.

Non conosco il suo nome, ma dallo sguardo mi sembra di conoscerla da sempre.

Sciacquo, risciacqua e senza scuorno… è passato ‘natu juorne: Maledetta quarantena!

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