di Tonino Scala
Grisolia la raggiungi dopo una strada che sembra non finire mai, curve che ti piegano lo stomaco e il pensiero. È Calabria, ma potrebbe essere il ventre di qualsiasi sud: il paese appare all’improvviso, incastonato tra la montagna e il mare che non vedi, ma senti nel vento che arriva a raffiche, un vento caldo e nervoso, che porta con sé odori di fichi, di sale, di fumo lontano. Non piove più da un’ora, e la piazza è bagnata appena, come se fosse stata lavata a mano. Sotto le luminarie, accese a festa, sembra davvero un presepe, uno di quelli un po’ sgangherati, coi pastori che guardano da secoli la stessa stella senza capirci niente.
In piazza c’è un palco. Luci, amplificatori, chitarre che brillano come coltelli sotto il neon. Ci sono i Nomadi. Ci sono ancora. Ci sono sempre. Beppe Carletti siede al piano e sorride come un vecchio amico che hai perso di vista e ritrovi senza dover spiegare nulla. La voce che apre è quella che porta dietro la memoria, un ricordo che non muore: Augusto, lui è lì, sospeso tra nota e nota, tra la nebbia della pianura padana e questo vento calabrese che scuote le bandiere.
E la prima canzone è Contro.
È un pugno. È una carezza. È la voce di chi non si piega. Le parole scendono come pietre sulle teste, ma la gente le accoglie come pane. La piazza si muove lenta, sventolano bandiere della pace, bandiere del Che, colori scoloriti ma vivi, come le mani di chi li tiene alzati da una vita.
Un pezzo di storia, di musica, di pacifismo, di utopie che non si sono mai arrese si raduna qui, in questa piazza che diventa mondo. Ci sono pensionati con la faccia scavata e la pelle bruciata dal sole, ci sono ragazzi scesi da Catanzaro, ci sono famiglie intere arrivate dai paesi vicini. Tante generazioni a confronto che si uniscono in un coro che non conosce tempo: Noi non ci saremo. Non è nostalgia, è presente. È l’urlo di chi c’è, di chi resiste, di chi ancora crede che la musica possa cambiare le vene del mondo.
Poi arriva I ragazzi dell’olivo, scritta da Augusto, ed è una pugnalata dolce. Dedicata ai bambini di Gaza, a chi cresce tra il filo spinato e i droni. La piazza si fa silenziosa, anche il vento sembra fermarsi per ascoltare. Qualcuno piange, qualcuno stringe un pugno, qualcuno tiene per mano un figlio. Non c’è distanza, non ci sono confini: Gaza è qui, stanotte, sotto queste luminarie.
E quando parte Auschwitz, è apoteosi. Non è solo una canzone, è un grido che lacera la notte. La voce si fa eco tra le case, rimbalza contro la pietra, diventa preghiera e bestemmia. La piazza canta insieme, ognuno con il suo dolore, ognuno con il suo ricordo, e per un attimo sembra che la Storia non sia passata invano, che qualcosa resti.
Grisolia, questo paese di curve e di vento, diventa una capitale della memoria e della speranza. Qui, dove la vita sembra scorrere lenta e dura, la musica alza il passo, apre i cuori, strappa via il silenzio. La notte è calda, piena di voci, e in quell’abbraccio collettivo senti che la pace non è solo una parola, ma una canzone che non finisce mai.
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