Niente regali alle mafie. Robbè mi dispiace non condivido.

Robbè mi dispiace non condivido. Non condivido la frase che hai postato su Fb: “I beni confiscati alle organizzazioni criminali vanno venduti subito. Il ministro Cancellieri l’aveva già proposto. È necessario riportare allo Stato le risorse saccheggiate, sottraendole alle mafie. Nessuna paura che tornino alle organizzazioni: lo Stato troverà il modo di sequestrarli di nuovo. Ma devono essere venduti, e subito”.
Caro Roberto stimo ed apprezzo ciò che fai, anzi ti ringrazio per quello che dici per quello che hai scritto e continuerai a scrivere. Come dico sempre è servute cchiù nu libbro che decine di processi! La tua dichiarazione che hai postato oggi sul social network, non è nelle mie corde. Non per una questione del classico no a prescindere. Non voglio essere il bastian contrario della situazione. La questione è più complessa. Caro Roberto come sai già oggi è possibile mettere in vendita i beni delle società gestite dalla mafia. Il legislatore ha fatto una differenza tra beni del mafioso e quelli delle aziende mafiose. Lo spirito del parlamento è stato sempre chiaro dal primo momento ovvero ha fatto una distinzione sulla gestione ad uso sociale di quei beni in uso diretto dal mafioso, distinguendoli da quelli del suo patrimonio personale. Questo per dare uno schiaffo alla mafia, alla camorre e nel contempo per dare un segnale chiaro: lì dove c’era il boss c’è un bene che è di tutti. C’è un centro anziani, un’associazione, un punto di ritrovo, un ufficio per le politiche sociali, uno sportello per gli immigrati. Un modo per dire: avete ricchezze fatte con proventi illeciti, che puzzano di sangue? Quei beni non sono vostri, sono nostri. Questo il senso, un paliatone culturale da dare a chi pensa di avere in mano i nostri quartieri, le nostre coscienze, i nostri animi, le nostre paure. Così non va, questo è vero, servono procedure più snelle, servono più soldi, a mio avviso la manutenzione e la gestione degli stessi dovrebbero uscire anche dal c.d. patto di stabilità perché ossigeno per le nostre aree. La vendita anche di uno solo di quei beni, sarebbe un dichiarare fallimento, anche perché potrebbero essere riacquistati dagli stessi mafiosi o camorristi. È vero c’è una paralisi e c’è chi sospetta che questo stallo sia maliziosamente ed artatamente causato. Lo scopo potrebbe essere per i malpensanti quello di fare delle leggi post-stallo che, in maniera offuscata, facciano nuovamente rientrare in possesso la mafia di quei beni, per esempio attraverso la vendita e la messa all’asta degli stessi. In che modo? attraverso dei prestanome.  Vendere i beni confiscati che non vengono utilizzati, o metterli all’asta, allo scopo di “fare cassa” affinchè il ricavato venga utilizzato per opere di utilità sociale pubblica, in un qualsiasi paese è un fatto normale, da noi potrebbe accadere altro. Vero la situazione non può restare quella attuale. Per fare una legge che consentisse il sequestro e la confisca dei beni alla mafia si sono sacrificati uomini e servitori dello Stato. Bisogna trovare i soldi per utilizzare gli stessi. Bisogna snellire le procedure per l’assegnazione. Bisogna fare uno sforzo comune. Bisogna fare questo paliatone, come amo dire, perché sconfiggere la mafia, le camorre, la ndrangheta è prima di tutto un fatto culturale. Tredici anni fa, oltre un milione di persone firmarono la petizione per chiedere al Parlamento di approvare la legge per l’uso sociale dei beni confiscati alle mafie. Un appello che raccolsero tutte le forze politiche, le quali votarono all’unanimità la legge 109/96. Un gesto, una forma di rispetto nei confronti di chi, a cominciare da Pio La Torre, aveva pagato con la propria vita l’impegno per sottrarre ai clan le proprie ricchezze illecite. La vendita di tutti i beni, anche quelli in uso al boss in modo diretto, sarebbe una sconfitta. L’uso sociale non è da sottovalutare, la mafia, le camorre non lo fanno, basti pensare ciò che accade dalle nostre parti. Tante sono le minacce continue che subiscono i ragazzi che hanno la gestione di quelle strutture polivalenti. La vendita di quei beni significherebbe una cosa soltanto: che lo Stato si arrende di fronte alle difficoltà del loro pieno ed effettivo riutilizzo sociale, come prevede la legge. Quando il governo Berlusconi propose di vendere i beni modificando l’attuale legge Don Luigi Ciotti scrisse una cosa bellissima che voglio riproporre: S’introducano norme che facilitano il riutilizzo sociale dei beni e venga data concreta attuazione alla norma che stabilisce la confisca di beni ai corrotti. E vengano destinate innanzitutto ai familiari delle vittime di mafia e ai testimoni di giustizia i soldi e le risorse finanziarie sottratte alle mafie. Ma non vendiamo quei beni confiscati che rappresentano il segno del riscatto di un’Italia civile, onesta e coraggiosa. Perché quei beni sono davvero tutti “cosa nostra”.

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